Ho sempre pensato di essere un buon tiratore. Da piccolo avevo una pistola ad aria (non compressa), uno dei giocattoli più costosi che mi si siano mai concessi fuori dal periodo natalizio (poco più di venti mila lire in una bancarella a Miramare di Rimini, estate di metà anni Novanta). A casa, mi esercitavo a sparare le palline gialle contro bersagli improvvisati. Ma all’aria aperta il tiro era enormemente influenzato dal vento, e i piccoli proiettili di plastica non arrivavano mai troppo lontano. Nonostante quasi da subito abbia rimpianto di non aver optato per un modello con una migliore propulsione (ad esempio, a gas), ho sempre conservato gelosamente la mia
Smith & Wesson giocattolo nella sua confezione originale, con tanto di polistirolo e istruzioni e certificato di garanzia made in Bangladesh.
La geometria euclidea non sbaglia: per tre punti passa una e una sola… pallottola.Tutto sommato comunque non me la cavavo male a sparare. E le volte che capitavo in un luna park, con i fucili ad aria e i pupazzini da vincere, non mancavo mai un colpo. La geometria euclidea non sbaglia: da tre punti allineati passa una e una sola retta, e se si mantiene in una linea retta immaginaria il proprio obiettivo, il mirino sulla canna del fucile, e la tacca di mira, beh: il proiettile non può che raggiungere il bersaglio. La forza di gravità che induce nel proiettile un movimento a parabola può facilmente essere ignorata quando la distanza dalla lattina a cui si spara è quella delle bancarelle delle giostre.
Quanto possa essere diverso sparare con un fucile vero non l’ho mai fondamentalmente voluto prendere in considerazione. Nella mia testa, una delle mie qualità segrete è di essere un tiratore scelto mancato, uno sparatore dal talento naturale – che solo un giorno, forse, verrà messo alla prova. Facile a dirsi: tanto quel giorno mai arriverà? Quante possibilità ci sono nella vita di una persona che questa prema il grilletto di un’arma vera? Non giocattoli, non videogiochi, non simulatori: il grilletto di un insieme di tubi di metallo, ben oliati e lubrificati, con proiettili messi insieme a mano, e inseriti uno ad uno nella cartuccia, con l’odore di polvere da sparo attorno alla camera. Roba che distrugge – roba che uccide.
Quando mi è stata offerta questa possibilità, è chiaro che un pilastro da qualche parte nel sottoscala della testa ha iniziato a vacillare, come se fosse piantato nelle sabbie mobili. Sparare, ma per davvero? Oddio, cosa succede dopo? E durante? Siamo davvero arrivati alla prima volta? Quasi quasi aspetto ancora un po’, non so se sono pronto, non so se me la godrò a pieno.
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